Emetofobia

Emetofobia: Cos’è, Cause, Sintomi, Comorbidità e Possibili Percorsi Terapeutici

 
Ragazza in ansia con scritta "emetofobia: la fobia specifica del vomito"

L’emetofobia rappresenta oggi un problema più diffuso di quel che si pensi, ma al tempo stesso circondato da una cortina di ignoranza e incomprensione.

Ad aumentare la difficoltà della sua trattazione, bisogna dire che può presentarsi in maniera molto diversa a seconda di chi ne soffre, con una sintomatologia più o meno invalidante.

Nonostante ciò, proviamo di seguito a fornire una panoramica quanto più possibile comprensiva della fobia in tutte le sue forme.

 

Che Cos’è l’Emetofobia?

La quinta edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, edito dall’American Psychiatric Association, classifica l’emetofobia come fobia specifica per il vomito.

Dal greco ἔμετος = émetos, ossia vomito, e φόβος = phóbos, ossia paura, l’emetofobia rappresenta quindi il terrore irrazionale e incontrollabile verso il vomito e ciò ad esso collegato, come i suoni dei conati o la nausea. 

Non è per niente assimilabile ad un semplice disgusto o repulsione, cosa anzi assai comune tra le persone. Anche se bisogna notare come in passato ci siano stati studi volti ad indagare la possibile correlazione tra sensibilità al disgusto ed emetofobia.

In quanto fobia, la sua natura e concettualizzazione può leggermente cambiare a seconda della disciplina scientifica da cui si analizza il problema.

Ossia fobia intesa come disturbo d’ansia dal punto di vista della psicologia clinica, o come squilibrio chimico dal punto di vista psichiatrico, ad esempio.

Ciò che resta immutabile è, invece, il profondo senso di sconforto che può provare un’emetofobico.

Un emetofobico può ignorare lui stesso il termine esatto del problema di cui soffre, con conseguente frustrazione e sensazione di incapacità di capire ciò gli stia succedendo. Oppure sentirsi incompreso dalle persone che lo circondano, le quali facilmente scambiano il suo disturbo per una semplice fissazione.

Il suo disturbo d’ansia incontrollata, invece, non riguarda solo la possibilità di star male, ma anche di vedere – o sentire – gli altri vomitare. 

Un emetofobico può infatti essere tale in quanto:

  • Incontrollabilmente terrorizzato all’idea di vomitare e di vedere/sentire gli altri stare male
  • Incontrollabilmente terrorizzato all’idea di vomitare ma senza problemi particolari nel vedere/sentire gli altri stare male, se non un comune senso di disgusto
  • Incontrollabilmente terrorizzato all’idea di vedere gli altri vomitare, ma non di vomitare lui stesso. Categoria in netta minoranza rispetto alle altre due, ma comunque esistente.

Fobia vera e propria o paura di vomitare?

All’interno degli studi condotti, è stata proposta una differenziazione tra la paura di vomitare e l’emetofobia vera e propria.

Per qualificarsi come fobia, la risposta in reazione all’oggetto della propria paura deve quindi essere estremamente angosciante.

I comportamenti di evitamento devono essere tali da rendere invalidanti molteplici aspetti della vita di una persona.

Ciò farebbe sì che l’emetofobia si differenzi non solo dal disgusto verso il vomito, ma anche dalla “semplice” paura verso di esso.

A molte persone che temono il vomito questa differenza potrebbe risultare un po’ senza senso e di difficile applicazione, ma era doveroso riportarla.

Quante persone soffrono di emetofobia?

E’ pressoché impossibile fornire un numero certo di persone che soffrono di questa fobia. 

Tuttavia, benché non siano disponibili cifre esatte, numerosi sono gli studi che hanno presentato proiezioni di fette di popolazione che potrebbero soffrire di questo problema.

Alcuni studi riportano percentuali che oscillano, a seconda del sesso, tra il 2 e il 7% in riferimento alla popolazione olandese per quanto riguarda la paura di vomitare.

Per quanto riguarda la fobia vera e propria, David Veale, uno dei massimi esperti di emetofobia, riporta sul proprio sito una STIMA di emetofobici compresa tra lo 0,1 e lo 0,2% della popolazione. Percentuale riportata anche da altri studi in merito.

Traslando queste stesse percentuali sulla popolazione italiana, si perverrebbe ad una stima compresa tra le 60.000 e le 120.000 persone.

Tenendo in considerazione il volume di persone che si sono registrate negli anni alle nostre varie piattaforme, ci sentiamo di dire che questa potrebbe risultare una proiezione affidabile del potenziale numero di persone che soffrono di questa fobia in Italia.

Origini e Cause della Fobia

Quanto detto in precedenza circa l’eterogeneità con cui l’emetofobia si può manifestare risulta valido anche per trattarne le cause.

Possiamo però raggruppare le origini della fobia in due categorie, sia rispetto al modo di insorgenza, sia rispetto alle tempistiche.

Modalità di insorgenza

Per quanto riguarda il modo, possiamo identificare questi due schemi principali:

  1. Persone che sono diventate emetofobiche a seguito ad uno specifico evento traumatico. In questo caso esistono chiaramente 3 fasi. Un prima, in cui il soggetto non soffriva di emetofobia. Un evento traumatico, quale può essere stata una brutta gastroenterite o un’intossicazione alimentare vissute particolarmente male. Un dopo in cui la persona sviluppa tutti i sintomi e gli schemi cognitivi tipici di una fobia.
  2. Persone che sono diventate emetofobiche senza che vi sia stato un episodio traumatico. In quest’altro caso vi è un crescendo di disturbi, i quali trovano terreno fertile negli specifici tratti caratteriali di una persona, o incentivati dal contesto ambientale-familiare in cui la persona vive. Disturbi che sfociano poi nella fobia.

Ci risulta difficile dire se una delle due categorie, in relazione al modo in cui si diventa fobici, sia preponderante rispetto all’altra. 

Potrebbe anche sussistere un nesso tra le due. I fattori ambientali e familiari, in un certo senso, possono aumentare la probabilità che un evento di malessere venga vissuto in maniera particolarmente traumatica.

Tempistiche di insorgenza

In relazione al quando, possiamo invece identificare queste due situazioni:

  1. Persone che sono sempre state emetofobiche. La persona, da che ha memoria, ha sempre avuto un atteggiamento nei confronti del vomito caratterizzato da un’incontrollabile terrore.
  2. Persone che sono diventate emetofobiche nel corso della propria vita. Che sia a seguito di un evento traumatico o meno, questa categoria risulta essere predominante. Risulta difficile ignorare come la grande maggioranza di fobici – cosa confermata anche da parecchi studi a riguardo – cominci a soffrire di questo disturbo molto presto, generalmente tra i 13 e i 18 anni. 

I casi di persone che hanno cominciato a soffrire di emetofobia più tardi, ossia in età adulta, non sono però inesistenti, anche se in minoranza rispetto agli altri.

La fobia in questi casi risulta inspiegabile perfino ai fobici stessi, i quali si chiedono come sia possibile che situazioni che fino a poco tempo prima non creavano alcun problema risultino adesso così ansiogene.

Fattori comuni che potrebbero essere (con)causa della fobia

Indipendentemente da quelle che possono essere modalità e tempistiche di insorgenza della fobia, le cause vere proprie alla sua base non sono ancora state rintracciate.

Ciononostante, è possibile rintracciare alcuni tratti comuni a molti emetofobici, che potrebbero – in modo non ancora ben chiaro – aver contribuito alla nascita del problema.

Questi tratti sono:

  • Problemi di attaccamento all’interno della sfera familiare
  • Un eccessivo e patologico bisogno di controllo e paura di perderlo
  • Il timore del giudizio altrui

Alexander Keyes & David Veale, nel loro libro sull’emetofobia, ipotizzano anche come ci possa essere, insieme ad altre cause scatenanti, un fattore genetico alla base dell’insorgenza della fobia.

Fattore genetico che è stato indagato anche in alcune tesi di dottorato sull’emetofobia.

Infografica sull'emetofobia: definizione, percentuali su quante persone ne soffrono e lista delle cause e delle modalità di insorgenza

Emetofobia: Ciclicità, Sintomi, Evitamento 

La lista dei sintomi potrebbe essere tanto infinita – data la pervasività che può raggiungere in molti ambiti della vita di una persona – quanto mutevole. Anche in seno alla stessa persona, nell’arco della vita.

I sintomi che presenteremo di seguito, quindi, sono da intendersi solamente parziali. Ma soprattutto non sono validi per tutte le persone che soffrono di questo problema.

Vi è la presenza infatti di gruppi di emetofobici che si potrebbero, un poco sbagliatamente, definire “più razionali.” Ossia fobici che riescono meglio a convivere con la fobia e a ridurne al minimo i sintomi. Accanto ad essi possiamo trovare gruppi di fobici più “irrazionali,” i quali tendono a presentare una maggiore incidenza di sintomi e a soffrire di comorbidità.

Ciclicità della fobia non trattata

Una delle caratteristiche comuni a molti fobici è la ciclicità che può assumere la fobia, qualora non trattata. 

Ossia l’alternarsi di fasi di vita caratterizzate da marcati miglioramenti, fin quasi a quella che può erroneamente sembrare una quasi totale guarigione.

Periodi a cui seguono recrudescenze dei sintomi e delle proprie paure, i quali possono avere un effetto devastante sulla persona che pensava di essersi ormai lasciata l’emetofobia alle spalle.

Questi andamenti ciclici della fobia possono anche avere una durata lunga anni. Le fasi di recrudescenza della fobia possono presentarsi sia con sintomi simili, sia con sintomi di volta in volta diversi.

Uno schema cognitivo comune a molti emetofobici

Ci sono alcune credenze, emozioni e comportamenti di attenzione selettiva che caratterizzano molti fobici. Forse tutti, a seconda della parte del ciclo della fobia in cui si trovano o si sono trovati in passato.

Queste possono essere sintetizzate in pochi punti:

  • Iper-vigilanza per qualsiasi sensazione “strana” intorno allo stomaco
  • Incapacità di distinguere le varie sensazioni allo stomaco e spesso catalogarle sotto la comune etichetta di “nausea”
  • Pensare che ogni volta che si sente un sintomo reputato “strano,” sia la volta buona che si starà male
  • Spirale ansia/nausea/ansia. Lo stato d’ansia dovuto all’iper vigilanza per possibili sensazioni strane allo stomaco porta spesso l’emetofobico a somatizzare l’ansia in nausea. La quale a sua volta genera maggiore ansia.

Queste caratteristiche rintracciabili in molti emetofobici hanno portato alcuni a provare a schematizzare il processo cognitivo tipico di un fobico.

Schema cognitivo-comportamentale di un emetofobico

Sintomi dell’emetofobia

Al di là di quello di quelli che possono essere le varie differenze o analogie nei processi cognitivi dei fobici, c’è una lunga lista di comportamenti concreti che fanno intuire quanto questa fobia può essere invalidante.

Tra i più comuni, troviamo:

  • Terrore di contrarre virus gastrointestinali 
  • Ansia e timore di stare male soprattutto in orari serali/notturni
  • Paura di mangiare, soprattutto fuori casa
  • Paura di viaggiare per timore di stare male causa cinetosi
  • Particolare timore di star male lontano da casa propria o dai luoghi familiari
  • Paura ad assumere farmaci per i possibili effetti collaterali
  • Paura che un qualsiasi tipo di malattia o malessere possa portare a vomitare
  • Paura di bere alcolici
  • Timore del dentista e del calco dentale
  • Paura di trovarsi in situazioni in cui altre persone possono stare male
  • Molte ragazze emetofobiche temono la gravidanza per la possibilità di stare male
  • Per alcuni, l’aspetto traumatico nei confronti del vomito è tale da essere incapaci anche solo di vestirsi come l’ultima volta in cui si è stati male
  • Alcuni fobici possono provare fastidio perfino alla semplice vista delle parole vomito o nausea
  • Difficoltà a vivere momenti di socialità, come la scuola o le uscite con amici, per paura di stare male o non potersi isolare in caso di attacco d’ansia
  • Paura di colpi di freddo a livello gastrointestinale
  • Senso di colpa per non riuscire a prestare assistenza a persone care che stanno male
  • Alcuni fobici possono provare fastidio nel pulire il vomito del proprio animale domestico (anche se molti altri fobici hanno detto di non avere questo problema)
  • Paura di essere giudicati e sminuiti per la propria paura, spesso incompresa anche da chi gli sta vicino
  • Se genitore, un emetofobico potrebbe temere sia di non riuscire a prestare assistenza ai propri figli nel caso in cui stiano male, sia di “attaccare” la fobia ai propri figli

Azioni di evitamento e prevenzione

I comportamenti e pensieri sopracitati si possono poi declinare in specifiche azioni volte ad evitare o prevenire qualsiasi situazione associata alla possibilità di stare male.

Tra queste, alcune delle più comuni sono:

  • Evitare l’esagerata ingestione di cibo, o di alimenti che si reputano particolarmente pesanti, o alimenti che in precedenza hanno causato malesseri
  • Evitare l’assunzione di bevande fredde o anche solo minimamente fresche, anche in estate
  • Evitare il consumo di cibi che, anche se non scaduti, scadranno a breve
  • Evitare il consumo di cibi che non si sa come siano stati preparati o che si presentano in un modo che la persona emetofobica giudica non sano
  • Evitare inviti a feste per la paura di vedere gente ubriaca stare male
  • Evitare inviti a pranzo o cena fuori casa
  • Evitare gli spostamenti tramite mezzi pubblici
  • Evitare posti affollati
  • Evitare di scoprire il tratto gastro-intestinale in qualsiasi modo, anche in estate con alte temperature
  • Evitare il contatto con persone che sono state male causa virus gastrointestinali
  • Evitare di mangiare dopo una certa ora, per paura di stare male di notte
  • Attivarsi per procurarsi antiacidi e/o antiemetici da tenere a portata di mano, e provare anzi ansia qualora ciò non sia possibile
  • Attivarsi per cercare di sedersi sempre al posto più vicino all’uscita o al bagno per potersi defilare facilmente durante le tavolate di gruppo

Molto spesso le azioni di evitamento, purtroppo, finiscono per andare a cementare le credenze e le emozioni alla base dei comportamenti stessi. 

Il paradosso dell’emetofobico

Concludiamo il paragrafo riguardante i sintomi citando un piccolo paradosso che caratterizza chi soffre di emetofobia. Infatti, sebbene abbiano quasi costantemente il terrore del vomito, gli emetofobici sviluppano una resistenza al vomito maggiore rispetto agli altri individui.

Un emetofobico raramente vomita, e non solo per tutta la serie di comportamenti evitanti e preventivi che spesso si trova a mettere in atto. 

Si potrebbe dire che la resistenza – o rifiuto, a seconda del punto di vista – psicologica al vomito impedisca al soggetto di lasciarsi andare.

E quindi, effettivamente, un emetofobico non starà male in tutta una serie di occasioni in cui invece una persona non affetta da emetofobia si troverebbe a rimettere.

Il fatto di non vomitare per periodi di tempo anche lunghi anni e anni, può portare però con sé 2 conseguenze per l’emetofobico:

  1. L’idea di essere in un certo senso immune al vomito. Cosa che però non lo rende immune dal provare ansia e panico all’idea di poter vomitare, temendo come molti altri fobici che ogni volta sia la volta buona. Un paradosso nel paradosso, lo si potrebbe definire.
  2. L’idea che il proprio problema risieda – in tutto o in parte – nel fatto che si sia dimenticato di cosa si provi, a livello fisico, durante l’atto.

Complicanze e Comorbidità

Numerosi sono gli ambiti di vita di una persona che l’emetofobia può rendere invalidante.

Un fobico infatti può trovarsi in difficoltà non solo in moltissime situazioni sociali, siano esse scolastiche, lavorative o relazionali.

Ma può cominciare anche a soffrire di disturbi secondari causati dalla fobia stessa. 

E’ stato riportato in alcuni studi come circa il 35% di coloro che soffrono di emetofobia presentino casi di comorbidità con altri disturbi.

Vediamo alcuni di questi casi di comorbidità.

Emetofobia e Arfid

Nella società moderna si riscontrano, più che in passato, diversi disturbi del comportamento alimentare. Tra i più famosi vi sono senza dubbio l’anoressia nervosa e la bulimia.

Spesso confusa con i precedenti è l’emetofobia, la quale, in quanto disturbo d’ansia, non può e non deve essere confusa con un disturbo alimentare. 

Essa può in alcuni casi dare vita al cosiddetto “disturbo evitante-restrittivo dell’assunzione del cibo”, in inglese identificato con l’acronimo ARFID.

L’ARFID non include l’immagine distorta del corpo o l’immagine corporea come accade nell’anoressia nervosa e nella bulimia nervosa.

E’ essenziale sottolineare quindi come il motivo per cui una persona che soffre di emetofobia eviti o limiti l’assunzione di cibo è sempre quello: la paura di vomitare il cibo ingerito.

Una persona emetofobica può altresì provare un marcato senso di insoddisfazione e di inadeguatezza – soprattutto a livello sociale – nel momento in cui non riuscirà a mangiare. 

Inadeguatezza a cui possono aggiungersi pesanti sensi di frustrazione ed incomprensione nel momento in cui venisse additata di anoressia. Soprattutto calcolando che nel linguaggio comune tale termine viene automaticamente associato al disturbo di anoressia nervosa.

Sentimenti di incomprensione che hanno le proprie radici nel fatto che la volontà di evitare il cibo risiede nella paura di poterlo vomitare.

Spesso, inoltre, la persona emetofobica durante i pasti, tende a mangiare in modo molto limitato. Magari vorrebbe continuare a mangiare, ma si ferma per non esagerare, evitando così sensazioni di pienezza allo stomaco. Sensazioni che potrebbero scatenare un attacco d’ansia per paura di vomitare.

Emetofobia e altri disturbi d’ansia

Sono molti i casi in cui si registrano persone affette da emetofobia in comorbidità con altri disturbi d’ansia. I più comuni sono: disturbo d’ansia generalizzata, disturbo da attacchi di panico fobia sociale ed agorafobia.

Come facilmente intuibile, molto dipende dai singoli casi, con la linea di demarcazione tra i vari disturbi d’ansia può essere molto sottile, se non a volte propriamente assente. A volte diagnosticare l’emetofobia risulta difficile proprio perchè va a sovrapporsi ad altri disturbi, e viceversa.

Risulta comunque essere una costante che un emetofobico abbia molta più paura di poter star male fuori casa rispetto che all’interno della propria abitazione. 

Questa maggior paura verso l’esterno può gettare le basi per lo sviluppo di agorafobia o anche di fobia sociale. Spesso infatti il timore di stare male fuori casa si mischia, in maniera indefinita, a quello di poter stare male di fronte ad altre persone.

Emetofobia, DOC, ipocondria e germofobia

Diversi sono gli studi che riportano casi di disturbo ossessivo-compulsivo in pazienti emetofobici. Il range sembra attestarsi tra l’8 e il 13% a seconda dello studio consultato.

Una persona fobica infatti, nel disperato tentativo di evitare qualsiasi situazione attinenti al vomito stesso o di tenere sotto controllo l’ambiente circostante, può spesso arrivare a maturare immagini e pensieri catastrofici nei confronti del vomito e comportamenti che sfociano nel cosiddetto disturbo ossessivo-compulsivo d’ansia. DOC che trova terreno fertile anche in tutti i comportamenti evitanti che possono caratterizzare un emetofobico.

In un certo senso collegate allo sviluppo di un DOC, ipocondria e germofobia possono essere presenti un gran numero di fobici. La ragione è sempre la stessa fin qui presentata: la paura di vomitare.

Il fobico infatti può spesso maturare una marcata ipocondria nel timore che qualsiasi problema fisico possa – a volte, bisogna dirlo, anche molto improbabilmente – portare al vomito. Questo può far sì che l’atteggiamento di iper-attenzione nei confronti delle sensazioni fisiche percepibili intorno allo stomaco venga proiettato su altre parti del corpo.

Similmente, non è difficile trovare fobici che sviluppano una vera e propria ossessione nei confronti dei germi – soprattutto in ambito alimentare – o di altri possibili agenti patogeni. Ossessione che li porta ad assumere comportamenti di prevenzione come la disinfezione continua delle mani o del cibo. 

Non è raro, tra l’altro, che nel timore che il lavaggio del cibo non venga fatto in maniera consona, sia proprio l’emetofobico a voler sempre essere lui stesso a procedere con tale attività.

Emetofobia e depressione

Non tanto collegata alla fobia in maniera diretta quanto alle sue conseguenze a livello sociale, vi è la depressione.

Soprattutto negli anni passati, quando la parola emetofobia risultava ancora essere sconosciuta anche a molti professionisti medici e del settore, una persona affetta da questo problema era facilmente portata a sentirsi fortemente incompresa. Se non addirittura ad ignorare essa stessa la natura del proprio problema.

Ancora oggi non è raro infatti che, durante la prima seduta terapeutica, il professionista risulti perplesso circa il concetto di “emetofobia”.

Si tende a partire quindi prevenuti nei confronti della terapia e a cadere in una spirale di frustrazione.

Sebbene ad oggi la situazione sembri essere migliorata, essa non sembra essere tale da far comprendere bene a tutti quanto invalidante può risultare questa fobia. 

La pervasività che può raggiungere la fobia nella vita quotidiana e sociale di un individuo, rendendolo incapace di di godere appieno di molti piccoli o grandi momenti di piacere che potrebbero essere dati per scontati ha un enorme impatto sulla qualità della vita.

L’emetofobico tende ad evitare situazioni che desidererebbe affrontare e vivere, isolandosi sempre di più dal contesto sociale e dal tessuto relazionale. Andando così a cadere in forme di depressione maggiore.

Quindi, oltre all’emetofobia, si vanno ad aggiungere anche una serie di stati d’animo quali: sensazione di fallimento, timore di non combinare mai nulla nella vita, apatia, etc.

Una forma grave e invalidante di emetofobia può facilmente gettare le basi per gravi forme di depressione.

infografica che spiega come l'emetofobia sia una fobia specifica, ma può avere complicanze quali ARFID, DOC, depressione

Possibili Cure e Terapie

Molteplici sono le strade per chi volesse intraprendere un percorso terapeutico.

E’ importante sottolineare come tutte le ricerche affermino che, se non trattata, l’emetofobia persiste nel tempo. E’ molto difficile che si riesca a guarire da soli.

Presentiamo qui di seguito una lista ovviamente parziale dei più comuni percorsi che si possono intraprendere per la cura della fobia e/o dei suoi sintomi.

Rimane comunque chiaro come sarà poi il terapeuta a decidere quale percorso sia più adatto al proprio paziente.

Volendo qui trattare, nello specifico, delle possibili terapie per l’emetofobia, escluderemo tutte quelle tecniche e attività che sono più propriamente riconducibili alla gestione dell’ansia, come possono essere il training autogeno, lo yoga o i rimedi naturali. Ovviamente senza che ciò implichi che tali metodi non portino giovamento ad un paziente fobico.

Emetofobia e farmaci

Occorre qua effettuare una distinzione in merito alla tipologia di farmaci, distinguendo tra:

  1. Farmaci specifici contro vomito e nausea (ossia antiemetici e procinetici)
  2. Psico-farmaci (antidepressivi, ansiolitici e stabilizzatori dell’umore)

Nel primo caso, un emetofobico potrebbe essere di per sé portato ad abusare di questa tipologia di farmaci, usandoli in maniera erronea in funzione ansiolitica. Cosa che, in un certo senso, mette a nudo molto dell’aspetto mentale dell’emetofobia.

Veale riporta come tentativi di cura dell’emetofobia attraverso l’assunzione di questa tipologia di farmaci non solo siano destinati a cadere nel vuoto, ma anzi abbiano un effetto controproducente, in quanto:

“…farmaci antinausea ed antiemetici rinforzano [nel paziente emetofobico] l’idea che si possa controllare il vomito”

Considerazioni diverse sono da effettuarsi nel secondo caso. L’assunzione di psicofarmaci – principalmente antidepressivi ed ansiolitici –  può risultare utile in casi di depressione e di emetofobia fortemente invalidante o in presenza di comorbidità con altre patologie quali, ad esempio, il DOC. 

Avendo come obiettivo la guarigione dalla fobia, l’assunzione di tali farmaci dovrebbe comunque sempre essere intesa come aiuto per l’inizio di un percorso di psicoterapia.

Psicoterapia Cognitivo Comportamentale

La Terapia Cognitivo-Comportamentale (o TCC) risulta essere la terapia – o, più precisamente, un insieme di terapie ed approcci –  più usata e più efficace, secondo molte ricerche, per la gestione dei disturbi d’ansia e delle fobie.

L’approccio cognitivo-comportamentale pone il focus non tanto sul possibile evento traumatico in sé ma, come facilmente intuibile dal nome, su come pensieri e processi cognitivi del paziente influenzino le sue credenze e vincolino quindi i suoi comportamenti.

La TCC si propone quindi di interrompere il circolo cognizione – credenza – comportamento del paziente fobico nei confronti del determinato oggetto della propria fobia.

infografica che illustra lo schema cognitivo-comportamentale applicato all'emetofobia: pensieri-emozioni-azioni

In sostanza, se un determinato oggetto, il vomito, pone tutta una serie di condizionamenti nei processi cognitivi e nei comportamenti di un fobico, la TCC si propone di mettere in atto contro-condizionamenti volti a portare il paziente ad introiettare a fare propri schemi di interpretazione della realtà.

In questa prospettiva, la TCC può prevedere anche l’assegnazione di ciò potrebbero essere dei “compiti” da effettuare fuori dall’orario delle sedute, a casa. Compiti che devono essere portati avanti in maniera diligente affinchè la terapia possa avere risultati duraturi.

La terapia può prevedere anche l’utilizzo di tutta una serie di tecniche, come l’esposizione o la mindfulness, di cui tratteremo in maniera separata tra poco.

Non si può ignorare come ci siano stati numerosi studi sull’applicazione e l’efficacia della TCC nei confronti dell’emetofobia, compreso uno studio pilota volto a gettare le basi per un protocollo per la cura della fobia.

EMDR

Spesso confusa con l’ipnosi, l’EMDR – acronimo inglese per Desensibilizzazione e Rielaborazione attraverso i Movimenti Oculari – è un approccio terapeutico volto a portare il paziente a reinterpretare in maniera razionale quello che può essere stato un trauma passato.

Sebbene, al contrario della TCC, ponga maggiormente il focus sul trauma vissuto e sulla sua reinterpretazione, l’EMDR può essere spesso usata all’interno di percorsi cognitivo-comportamentali.

Come dice il nome, si basa sulla stimolazione dei movimenti oculari e viene spesso proposta come tecnica per la gestione di un ampio ventaglio di patologie e disturbi, tra cui i disturbi d’ansia e le fobie.

Essendo molti fobici divenuti tali in seguito ad un evento traumatico relativo al vomito, l’EMDR può presentarsi come una soluzione volto a dissociare l’aspetto traumatico dell’oggetto della propria paura. Lo scopo è quello di far perdere al vomito tutta la carica negativa che lo circonda all’interno della mente di un fobico.

Uno studio presentato da Ad de Jongh ha mostrato come l’EMDR sia stata efficace nel diminuire in maniera duratura i sintomi nel caso di una donna emetofobica.

Esposizione

Molto spesso temuta, evitata e rifiutata da chi soffre di emetofobia, la tecnica dell’esposizione fa parte di tutte quelle metodologie usate per “ristrutturare” l’approccio e le reazioni che un fobico ha con l’oggetto della propria paura.

Un emetofobico è immediatamente portato a pensare alla cosiddetta esposizione “flooding” e sarà quindi esposto dal vivo al vomito. Ciò lo porta con molta probabilità a rinunciare in toto a qualsiasi approccio terapeutico basato sull’esposizione.

E’ importante sottolineare come in realtà di esposizioni ne esistono di molti tipi.

Tipi di esposizione

La desensibilizzazione sistematica prevede la sostituzione di una risposta di rilassamento a quella catastrofica a seguito dell’esposizione a una situazione ansiogena

L’esposizione graduata, la quale può benissimo cominciare anche solo riuscendo a pensare al vomito, si basa su un crescendo di situazioni ansiogene che possono essere decise insieme da paziente e terapeuta;

L’esposizione enterocettiva prevede di far abituare il paziente alle sensazioni fisiche. Sebbene sia soprattutto utilizzata nel trattamento degli attacchi di panico, uno studio del 2009 ad opera di Paulette V. Hunter e Martin M. Antony ha indagato il ruolo dell’esposizione enterocettiva nel trattamento di un paziente affetto da emetofobia.

L’esposizione avviene per gradi e in forme diverse a seconda del paziente – anche il pensare al vomito può essere concepito come un primo grado di esposizione.

In più bisogna soprattutto evidenziare come tutto ciò avvenga sotto la supervisione di un terapeuta professionista. Un professionista che conosce il proprio paziente e che è preparato a gestirne le possibili reazioni in un ambiente controllato.

Il progresso di alcune tecnologie ha fatto poi sì che negli ultimi anni sempre più centri e studi di psicoterapia forniscano la possibilità di provare tecniche di esposizione per diverse fobie o disturbi d’ansia attraverso, ad esempio, la realtà virtuale.

Mindfulness

La mindfulness – traducibile in italiano con “consapevolezza di sé” – risulta essere difficile da definire. 

Grosso modo riconducibile a una forma di meditazione incentrata sulla consapevolezza della propria persona, non rappresenta in sé un vero a proprio approccio terapeutico. Ciè nonostante viene sistematicamente utilizzata all’interno della terza generazione di terapie cognitivo comportamentali.

Tra i vari scopi e benefici della mindfulness c’è infatti quello di abituare il paziente al qui ed ora. Ossia impedire che le preoccupazioni per probabili o improbabili scenari futuri abbiano il sopravvento.

Una persona fobica è particolarmente portata, durante una crisi d’ansia, a raffigurarsi gli scenari peggiori che potrebbero accadere in relazione alla possibilità di vomitare – cosa che contribuisce ad aumentare l’ansia stessa. La quale, in virtù del circolo vizioso ansia-nausea già descritto, accentua la sensazione di nausea percepita.

I benefici della mindfulness sarebbero proprio da rintracciarsi nella capacità di “spezzare” questo schema cognitivo. Uno schema che porta un emetofobico a prefigurarsi subito il peggio – con relativo attacco d’ansia o di panico – e ad aiutarlo ad interpretare il momento presente con più razionalità e in maniera più distaccata.

infografica che illustra i principali percorsi terapeutici per chi soffre di emetofobia: TCC, EMDR, esposizione e mindfulness

 

Conclusione

Questo articolo, così come questo sito, non è a sfondo medico.

Nel nostro Staff non ci sono attualmente medici, psicologi, psicoterapeuti, psichiatri o specialisti del settore. Coloro che lo gestiscono e lo moderano sono persone che non intendono sostituirsi ai sopracitati, ma solo dare la possibilità di parlare di questa patologia e di confrontare le varie esperienze. 

Vi consigliamo, anzi, di rivolgervi ad un professionista nel caso in cui vi riconosciate in questa patologia. O nel caso in cui vi riconosciate i comportamenti di una persona a voi cara.

Ciò nonostante, in quanto persone che soffrono di emetofobia, crediamo di poter aiutare, grazie alla nostra esperienza e ai nostri punti di vista, a far comprendere meglio questa fobia, così ancora poco conosciuta e poco studiata.

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