obetta
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Un saluto a tutti,
finalmente ho trovato il coraggio di condividere la mia storia e spero di non annoiare nessuno.
Nonostante abbia memoria delle diverse volte in cui vomitai durante l’infanzia, sia per malattia sia per indigestione o colpi d’aria, posso dire che da bambina vivevo serenamente.
Credo di essere diventata emetofobica a 12 anni dopo una gastroenterite. La giornata era iniziata male perché a scuola seppi che la mia migliore amica di allora si era beccata l’influenza intestinale e durante la notte era stata male. Passai l’intera giornata a temere il contagio e subito dopo cena seppi che mi sarei sentita male anch’io. Ricordo che passai quasi due ore cercando di resistere alla nausea, ma poi inevitabilmente vomitai. Durante la nottata mi capitò altre quattro volte.
Iniziai a temere la stagione delle influenze, a mangiare poco quando la paura di vomitare era troppa, a evitare tutte le circostanze, reali o immaginarie, che mi avevano fatto stare male (non sono riuscita a mangiare pizza per anni!). Piangevo in continuazione e certe notti non riuscivo a dormire per l’agitazione. I miei genitori mi aiutavano come potevano, ma dopo un po’ credo pensassero che la paura mi fosse semplicemente passata; io gli nascondevo di essere terrorizzata soprattutto perché avevo vergogna.
Ho vissuto gli anni dell’adolescenza a preoccuparmi, cercando la forza per convivere con questa paura. Mangiavo a orari regolari e cercavo in continuazione segnali che mi confermassero se avessi digerito o no. Credo di essere diventata una dipendente seriale da cicche alla menta. Evitavo i miei cari, se malati di influenza, come fossero appestati e rinunciavo a vedere gli amici.
Con il tempo ho imparato a combattere certi comportamenti e sono riuscita a gustarmi di nuovo la pizza! La fobia era sempre là, ma meno invalidante, e ho vissuto quasi normalmente gli anni di università e il mio primo amore. Solo il 2014, a causa dello studio e di alcuni problemi con il mio ragazzo di allora, è stato un anno particolarmente stressante costellato da attacchi di panico durante i quali la paura peggiore era quella di vomitare; affrontati i fattori stressanti sembrava tutto rientrato nella “normalità”.
Nel gennaio 2019 mia sorella si becca la gastroenterite e vado in tilt. Mi sono vergognata da morire del mio comportamento, ma non ce la facevo e sono arrivata a dormire per giorni in salotto! Per niente. Dopo una settimana infatti ero tranquilla, ormai speravo di aver evitato il contagio; invece una sera iniziai a sentirmi strana, avevo mal di testa e non riuscivo a digerire. Non ero particolarmente agitata anche se intuii come sarebbe finita. Quando andai a dormire, non riuscii a stendermi e rimasi seduta al buio sonnecchiando e sperando che quel malessere passasse. Iniziai alle 03 e mezza circa, quando un conato mi spinse a correre in bagno, e finii il mattino verso le 7. Nonostante tutto vissi la nottata meglio che da bambina: sapevo di non essere abbonata a una corsa singola, ma minimo a tre/quattro, e rassegnata mi dissi che per quando si fossero alzati i miei sarebbe stato tutto finito. Ci misi qualche giorno a riprendermi dalla malattia, ma l’episodio sembrava non aver cambiato il modo in cui gestivo la fobia. O così credevo.
Nell’ottobre di quello stesso anno infatti iniziai a soffrire come non mi era mai successo. Di colpo ritornarono gli attacchi d’ansia, fortissimi. La prima volta capitò durante una cena: scoppiai a piangere e a tremare incontrollabilmente davanti ai miei famigliari perché sentivo nello stomaco un bruciore terribile; il cuore batteva a mille e mi venne un male incredibile al collo e alle spalle per quanto ero tesa. Mi calmai dopo ore solo prendendo qualche goccia di *******. Non vomitai quella sera, ma nei giorni seguenti lo stomaco non migliorò: in pratica smisi di mangiare perché non riuscivo ad ingerire nulla, avevo sempre bruciore e solitamente verso sera ricominciavano i tremori. Andai di corsa dal medico che mi prescrisse un procinetico e un antiacido e, dopo una settimana senza risultati, una gastroscopia. Che ridere. Io?! Fare un esame in cui ti infilano un tubo in gola che ti causa dei conati?! Mai e poi mai! Decise quindi di farmi fare una cura di un mese e mezzo di Pantoprazolo, sospettando una gastrite visto che l’esame per l’Helycobacter risultò negativo. Finalmente i bruciori passarono e riuscii pian piano a riprendere a mangiare. Il problema a quel punto fu che la fobia del vomito divenne un chiodo fisso e decisi di andare da una psicologa.
Sicuramente la psicologa mi aiutò, soprattutto all’inizio. Mi diagnosticò un forte disturbo fobico e riuscì a distogliermi dai miei pensieri ossessivi con degli esercizi. Cercammo di scoprire la causa scatenante della mia emetofobia (forse come ho vissuto la relazione tra i miei genitori) e di individuare che cosa mi aveva così destabilizzato dopo tutto quel tempo (forse la rottura della mia relazione durata dieci anni e la scomparsa del nonno nel giro di qualche mese); eppure ancora oggi non capisco come tali eventi, certo logoranti, possano avermi portato prima all’emetofobia e poi un’ansia tale da causarmi una gastrite. Ad ogni modo migliorai e passai il 2020 senza disturbi particolari.
Da marzo/aprile di quest'anno però ho ricominciato a stare male. Non smisi di mangiare, ma facevo una gran fatica sia perché mi sentivo lo stomaco disturbato (nausee ai pasti, eruttazioni continue, bruciori) sia perché ai sintomi fisici si accompagnavano tachicardia, tremori e tensione muscolare. Feci nuovamente la cura di Pantoprazolo per una ventina di giorni, ma mi diede sollievo per poco. Per tutta l’estate ho vissuto un alternarsi di momenti di calma, durante i quali mangiavo normalmente e digerivo bene, e momenti ansiogeni dove i tremori e il batticuore si accompagnavano ai disturbi di stomaco.
Ad oggi la situazione non va per niente bene: le giornate “no” sono più numerose di quelle “sì” e lo stomaco non mi dà tregua, tanto che mangio davvero pochissimo e non so come ho fatto finora a non dimagrire (cosa che non posso permettermi visto che sono sottopeso da sempre). Sono molto preoccupata, anche perché mi rendo conto che se non avessi fastidi allo stomaco saprei gestire meglio l’ansia. Il medico dice che sono gastropatica e somatizzo così lo stress. È vero: sono disoccupata da dicembre e ho affrontato un concorso con l’idea che fosse la mia ultima occasione per trovare un lavoro stabile; non so come gestire il mio nuovo ruolo di matrigna di un bambino che sta manifestando forti disagi causati dalla separazione tra il mio attuale compagno e la madre. Ma chi non vive queste e forse maggiori preoccupazioni nella sua vita? Vorrà dire che per qualsiasi difficoltà d’ora in avanti mi ritroverò in questo stato? La psicologa è d’accordo che le suddette situazioni possano aver influito, ma mi ha consigliato comunque di effettuare esami più approfonditi. Sono andata quindi da un gastroenterologo che, indovinate, mi fa fare la gastroscopia. Però questa volta mi armo di coraggio (tanto la tremarella già ce l’ho) e il 25 novembre mi sottoporrò all’esame; mi consola il fatto che sarò un minimo sedata e che potrò capire cosa non va nel mio stomaco. I medici mi hanno parlato di possibile reflusso o ernia iatale, io più drasticamente temo di avere un’ulcera o addirittura un tumore.
Ed eccomi qui: una trentenne che vi scrive, reduce ieri sera dall’ennesima misera cena, con bruciore di stomaco e attacco d’ansia annessi, stremata da un’esistenza del genere. Sento di non avere più energie che mi spingono a combattere questa condizione. Ogni tanto riesco a sfogarmi con qualcuno (mia mamma o un’amica) e posso contare sulla vicinanza del mio compagno, ma in generale tendo a tenermi dentro questa sofferenza sia perché non voglio farli preoccupare ancora di più sia perché so che per loro è difficile capirmi e quasi impossibile aiutarmi.
Leggere questo forum mi è servito in passato e raccontandomi spero di sentirmi meno sola anche in questo momento terribile. Scusatemi per il logorroico discorso; un abbraccio e buona giornata a tutti!
finalmente ho trovato il coraggio di condividere la mia storia e spero di non annoiare nessuno.
Nonostante abbia memoria delle diverse volte in cui vomitai durante l’infanzia, sia per malattia sia per indigestione o colpi d’aria, posso dire che da bambina vivevo serenamente.
Credo di essere diventata emetofobica a 12 anni dopo una gastroenterite. La giornata era iniziata male perché a scuola seppi che la mia migliore amica di allora si era beccata l’influenza intestinale e durante la notte era stata male. Passai l’intera giornata a temere il contagio e subito dopo cena seppi che mi sarei sentita male anch’io. Ricordo che passai quasi due ore cercando di resistere alla nausea, ma poi inevitabilmente vomitai. Durante la nottata mi capitò altre quattro volte.
Iniziai a temere la stagione delle influenze, a mangiare poco quando la paura di vomitare era troppa, a evitare tutte le circostanze, reali o immaginarie, che mi avevano fatto stare male (non sono riuscita a mangiare pizza per anni!). Piangevo in continuazione e certe notti non riuscivo a dormire per l’agitazione. I miei genitori mi aiutavano come potevano, ma dopo un po’ credo pensassero che la paura mi fosse semplicemente passata; io gli nascondevo di essere terrorizzata soprattutto perché avevo vergogna.
Ho vissuto gli anni dell’adolescenza a preoccuparmi, cercando la forza per convivere con questa paura. Mangiavo a orari regolari e cercavo in continuazione segnali che mi confermassero se avessi digerito o no. Credo di essere diventata una dipendente seriale da cicche alla menta. Evitavo i miei cari, se malati di influenza, come fossero appestati e rinunciavo a vedere gli amici.
Con il tempo ho imparato a combattere certi comportamenti e sono riuscita a gustarmi di nuovo la pizza! La fobia era sempre là, ma meno invalidante, e ho vissuto quasi normalmente gli anni di università e il mio primo amore. Solo il 2014, a causa dello studio e di alcuni problemi con il mio ragazzo di allora, è stato un anno particolarmente stressante costellato da attacchi di panico durante i quali la paura peggiore era quella di vomitare; affrontati i fattori stressanti sembrava tutto rientrato nella “normalità”.
Nel gennaio 2019 mia sorella si becca la gastroenterite e vado in tilt. Mi sono vergognata da morire del mio comportamento, ma non ce la facevo e sono arrivata a dormire per giorni in salotto! Per niente. Dopo una settimana infatti ero tranquilla, ormai speravo di aver evitato il contagio; invece una sera iniziai a sentirmi strana, avevo mal di testa e non riuscivo a digerire. Non ero particolarmente agitata anche se intuii come sarebbe finita. Quando andai a dormire, non riuscii a stendermi e rimasi seduta al buio sonnecchiando e sperando che quel malessere passasse. Iniziai alle 03 e mezza circa, quando un conato mi spinse a correre in bagno, e finii il mattino verso le 7. Nonostante tutto vissi la nottata meglio che da bambina: sapevo di non essere abbonata a una corsa singola, ma minimo a tre/quattro, e rassegnata mi dissi che per quando si fossero alzati i miei sarebbe stato tutto finito. Ci misi qualche giorno a riprendermi dalla malattia, ma l’episodio sembrava non aver cambiato il modo in cui gestivo la fobia. O così credevo.
Nell’ottobre di quello stesso anno infatti iniziai a soffrire come non mi era mai successo. Di colpo ritornarono gli attacchi d’ansia, fortissimi. La prima volta capitò durante una cena: scoppiai a piangere e a tremare incontrollabilmente davanti ai miei famigliari perché sentivo nello stomaco un bruciore terribile; il cuore batteva a mille e mi venne un male incredibile al collo e alle spalle per quanto ero tesa. Mi calmai dopo ore solo prendendo qualche goccia di *******. Non vomitai quella sera, ma nei giorni seguenti lo stomaco non migliorò: in pratica smisi di mangiare perché non riuscivo ad ingerire nulla, avevo sempre bruciore e solitamente verso sera ricominciavano i tremori. Andai di corsa dal medico che mi prescrisse un procinetico e un antiacido e, dopo una settimana senza risultati, una gastroscopia. Che ridere. Io?! Fare un esame in cui ti infilano un tubo in gola che ti causa dei conati?! Mai e poi mai! Decise quindi di farmi fare una cura di un mese e mezzo di Pantoprazolo, sospettando una gastrite visto che l’esame per l’Helycobacter risultò negativo. Finalmente i bruciori passarono e riuscii pian piano a riprendere a mangiare. Il problema a quel punto fu che la fobia del vomito divenne un chiodo fisso e decisi di andare da una psicologa.
Sicuramente la psicologa mi aiutò, soprattutto all’inizio. Mi diagnosticò un forte disturbo fobico e riuscì a distogliermi dai miei pensieri ossessivi con degli esercizi. Cercammo di scoprire la causa scatenante della mia emetofobia (forse come ho vissuto la relazione tra i miei genitori) e di individuare che cosa mi aveva così destabilizzato dopo tutto quel tempo (forse la rottura della mia relazione durata dieci anni e la scomparsa del nonno nel giro di qualche mese); eppure ancora oggi non capisco come tali eventi, certo logoranti, possano avermi portato prima all’emetofobia e poi un’ansia tale da causarmi una gastrite. Ad ogni modo migliorai e passai il 2020 senza disturbi particolari.
Da marzo/aprile di quest'anno però ho ricominciato a stare male. Non smisi di mangiare, ma facevo una gran fatica sia perché mi sentivo lo stomaco disturbato (nausee ai pasti, eruttazioni continue, bruciori) sia perché ai sintomi fisici si accompagnavano tachicardia, tremori e tensione muscolare. Feci nuovamente la cura di Pantoprazolo per una ventina di giorni, ma mi diede sollievo per poco. Per tutta l’estate ho vissuto un alternarsi di momenti di calma, durante i quali mangiavo normalmente e digerivo bene, e momenti ansiogeni dove i tremori e il batticuore si accompagnavano ai disturbi di stomaco.
Ad oggi la situazione non va per niente bene: le giornate “no” sono più numerose di quelle “sì” e lo stomaco non mi dà tregua, tanto che mangio davvero pochissimo e non so come ho fatto finora a non dimagrire (cosa che non posso permettermi visto che sono sottopeso da sempre). Sono molto preoccupata, anche perché mi rendo conto che se non avessi fastidi allo stomaco saprei gestire meglio l’ansia. Il medico dice che sono gastropatica e somatizzo così lo stress. È vero: sono disoccupata da dicembre e ho affrontato un concorso con l’idea che fosse la mia ultima occasione per trovare un lavoro stabile; non so come gestire il mio nuovo ruolo di matrigna di un bambino che sta manifestando forti disagi causati dalla separazione tra il mio attuale compagno e la madre. Ma chi non vive queste e forse maggiori preoccupazioni nella sua vita? Vorrà dire che per qualsiasi difficoltà d’ora in avanti mi ritroverò in questo stato? La psicologa è d’accordo che le suddette situazioni possano aver influito, ma mi ha consigliato comunque di effettuare esami più approfonditi. Sono andata quindi da un gastroenterologo che, indovinate, mi fa fare la gastroscopia. Però questa volta mi armo di coraggio (tanto la tremarella già ce l’ho) e il 25 novembre mi sottoporrò all’esame; mi consola il fatto che sarò un minimo sedata e che potrò capire cosa non va nel mio stomaco. I medici mi hanno parlato di possibile reflusso o ernia iatale, io più drasticamente temo di avere un’ulcera o addirittura un tumore.
Ed eccomi qui: una trentenne che vi scrive, reduce ieri sera dall’ennesima misera cena, con bruciore di stomaco e attacco d’ansia annessi, stremata da un’esistenza del genere. Sento di non avere più energie che mi spingono a combattere questa condizione. Ogni tanto riesco a sfogarmi con qualcuno (mia mamma o un’amica) e posso contare sulla vicinanza del mio compagno, ma in generale tendo a tenermi dentro questa sofferenza sia perché non voglio farli preoccupare ancora di più sia perché so che per loro è difficile capirmi e quasi impossibile aiutarmi.
Leggere questo forum mi è servito in passato e raccontandomi spero di sentirmi meno sola anche in questo momento terribile. Scusatemi per il logorroico discorso; un abbraccio e buona giornata a tutti!